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ADOZIONE: La Luce Sugli Oceani

  • Alessia Maria Di Biase
  • 6 ago 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Oggi il percorso dell’adozione viene considerato come ultima scelta, come la possibilità estrema alla fine di ogni altro tentativo; un’alternativa scontata.

Ma cosa succedeva quando non esisteva ancora la possibilità di adottare un bambino?

Ha provato a immaginarlo Emma Fenu in questo racconto straordinario, dove si fondono prosa e poesia, sogno e realtà.


Non posso ipotizzare le modalità con cui decisero, ma decisero.

Una giovane donna accettò di essere ventre, affinché un figlio vi fosse.

Conosco il suo nome, il suo cognome e il suo paese d’origine, ma non la considero mia nonna, non l’ho mai cercata, non ho mai immaginato i lineamenti del suo volto, la luce del suo sorriso.

Tuttavia, silenziosamente ed intimamente, la ringrazio.

La ringrazio perché senza di lei io non ci sarei; perché è stata complice di una scelta che per noi oggi è orrore, ma che, allora, era l’unica possibile forma di eterologa; perché si è separata dalla bambina che ha nutrito con il suo corpo senza neppure sentirne l’odore della pelle rosea; perché si è limitata a poche visite discrete presso la casa di mia mamma, consegnandole piccoli doni e, presentandole, successivamente, le persone che erano divenute parte della sua vita, il marito e i bimbi. Ho stretto fra le mani il suo primo regalo per la neonata, forse infilato con pudore nelle sue fasce: è una medaglietta in oro, piccolissima, con un angelo dipinto e con, sopra incisa, la scritta “proteggimi”.

Una tenerezza infinita. In quel monile, pegno di una forma di amore, ho avvertito uno struggente addio, dolce e ricolmo di speranza.

Che un angelo protegga anche te, donna senza volto.


Così, dunque, ebbe inizio la vita di mia mamma, una bambina nata in una fredda notte di gennaio, sotto la candida coltre di neve che ricopriva un paese dove si snodavano vie minute in cui si proiettavano case dai tetti spioventi.


Mia nonna non poteva occuparsi materialmente della bambina, non era contemplato nel codice di comportamento che si addiceva alle gentildonne e, sinceramente, non ne sarebbe stata capace, svilita e sottomessa al potere e alla vigilanza del marito, e, ovviamente, priva di latte nei seni.


Fu accuratamente designata, per svolgere il compito di balia e tata, una ragazza, Lucia. Aveva appena partorito una figlia ma, essendo non maritata, aveva dovuto darla in adozione ad una coppia di suoi zii, benestanti e senza prole, che risiedevano nella zona di Firenze.


Mia madre fu viziata come una principessa, protetta e reclusa come un gioiello antico, come una filigrana troppo esile e preziosa per essere indossata.


Fu immensamente amata, mia madre.

Amata da mio nonno, in modo assoluto e possessivo, da mia nonna, in modo devoto e silente, e da una giovane madre negata, Lucia.

Ci furono, dunque, tre figure femminili: una ha dato il proprio ventre; una, la sola “mamma”, la propria dedizione imperitura; una il proprio latte, le proprie coccole, le proprie mani per pettinare i

Non importa se non le ho neppure conosciute, due di queste donne. Noi non abbiamo bisogno di sangue, di follicoli, di contatti di pelle e di logiche spiegazioni per creare legami. Ci uniscono fili invisibili, per sempre.


Tratto da: Emma Fenu, “Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità”, Echos Edizioni, 2015

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