FINCHE’ MORTE NON CI SEPARI
- Alessia Maria Di BIase
- 18 set 2016
- Tempo di lettura: 2 min

Una frase che suona come la più bella delle dichiarazioni d’amore, un “si” alla vita incondizionato e smisurato, l’abbandono di tutte le nostre forze di controllo e di potere sul legame tra noi e questo mondo, parole piene, belle da dire e ancor di più da ascoltare ma .. forse più difficili da mettere in pratica.
La voglia di controllare la vita e la morte diventa sempre più forte da parte dell’uomo, vogliamo scegliere noi quando e come nascere e anche quando e come morire, rifiutando la morte come un fatto naturale e improvviso, imprevedibile e inevitabile, come l’unico motivo per separarci da questa terra.
Dopo i “famosi” casi di Welby ed Englaro si riapre il dibattito sull’eutanasia, tornata a occupare le pagine della cronaca per il caso avvenuto recentemente in Belgio, paese da sempre favorevole all’eutanasia tra i maggiorenni, che ha autorizzato per la prima volta anche l’eutanasia per un ragazzo di 17 anni.
L’Italia, nonostante le continue spinte che arrivano da certe parti politiche, continua a vietare questo tipo di procedura, ma la discussione sulla morte assistita resta comunque un grande vuoto legislativo e sociale.
I contrari all’eutanasia, appoggiano la loro scelta su motivi etici, emotivi o religiosi, i favorevoli invece puntano sulla libertà di disporre pienamente della propria vita dall’inizio alla fine, dimenticando però in questa ricostruzione, che in realtà non scegliamo noi di venire al mondo e inoltre, nella maggior parte dei casi di coma vegetativo, l’interessato non ha neppure la possibilità di esprimersi.
Ecco che la palla allora rimbalza sui familiari, e bisognerebbe anche capire chi sono, alla luce delle recenti riforme sulle unioni civili, oppure bisognerebbe già optare per un’eventuale soluzione quando siamo in buona salute e pienamente capaci di intendere e di volere, cioè quando viviamo in qui momenti in cui a certe cose non pensiamo neppure in lontananza o pensiamo che a noi non potranno mai capitare.
L’interrogativo che si pone davanti a una persona che non è più padrona di se stessa è : lasciarla soffrire o aiutarla a morire.
La risposta, ovviamente, non è così scontata e la questione è indubbiamente una delle più problematiche e difficili da affrontare.
Tuttavia, quando un uomo diventa praticamente un vegetale, le possibilità che si risvegli e riprenda una vita normale sono “quasi “ pari a zero ma “mai” zero su zero secondo la scienza.
Premesso che tra le due soluzioni non è esiste una migliore ma eventualmente una meno peggio dell’altra, allora, a parte i valori politici, sociali, religiosi o le possibilità legali, prima di chiedere una risposta alla legge sarebbe il caso di porre una domanda a noi stessi e cioè chiederci se saremmo effettivamente capaci di staccare la spina e pensare di aver fatto la cosa giusta, sapendo di non aver considerato quella, seppur minima, possibilità di vita che non ci è stata negata.
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